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  L'evoluzione geologica dell'Appennino Emiliano.                 Flish del Monte Caio
 

 
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Per capire la storia geologica del Parmense dobbiamo partire da circa 250 milioni di anni fa, cioè dall'inizio dell'era Mesozoica. A quei tempi esisteva un unico "supercontinente", la Pangea, con alte catene montagnose e profonde valli, circondato a sua volta da un enorme oceano, detto Pantalassa. La Pangea, tuttavia, era già allora fratturata in diverse "placche", enormi frammenti della crosta terrestre e del mantello superiore clic poi, lentamente, andarono separandosi tra loro: una di queste placche, quella che formerà poi l'Eurasia, si allontanò da quella afroaustraliana, e nel cuore della Pangea si formò così un enorme mare interno, la Tetide.
Praticamente tutte le rocce dell'Appennino parmense derivano dai sedimenti che si depositarono in questo mare. Questi sedimenti marini, una volta compattati e cementati (processo detto di diagenesi) formeranno poi quello che oggi sono le rocce stratificate del nostro Appennino.
 

 

   
 

Frammisti a queste rocce sedimentarie si trovano poi dei frammenti di rocce magmatiche di origine profonda, delle quali dobbiamo ora parlare. Il mare della Tetide andò allargandosi per tutta la prima parte dell'era Mesozoica, ed al centro di esso si formò una profonda frattura della crosta, dalla quale emersero, in fondo al mare, dei magmi fusi provenienti dal mantello, cioè dall'involucro terrestre che avvolge il nucleo, e che fa da basamento alla crosta superficiale. La composizione del mantello è all'incirca quella rappresentata dalle attuali peridotiti, cioè rocce ricche di peridoto o olivina (un silicato di magnesio) e di pirosseni.
Talvolta alcuni brandelli di questa roccia del mantello sono stati risucchiati verso l'alto senza venire rifusi, e oggi affiorano qua e là lungo il nostro Appennino, come ad esempio alla Prija Burgheisa; occorre però tenere presente che attualmente essi si trovano in giacitura secondaria. Altre volte, invece, la roccia peridotitica ha subito una fusione a causa del ftortissimo calore producendo così un magma basico.

   
 

Se questo magma, emesso dal mantello attraverso la frattura sottomarina, fuoriesce a contatto con l'acqua, si formano i basalti (o diabasi): si tratta in questo caso di rocce magmatiche effusive, spesso caratterizzate da pillows (o cuscini), formati dal magma incandescente a contatto con l'acqua. Se invece, per qualsiasi causa (ostruzione del camino vulcanico, ecc.) questo magma si consolida in profondità, si formano i gabbri (rocce magmatiche intrusive, che però nel Parmense non sono presenti). Molto spesso, poi, alcuni frammenti del mantello, nel loro percorso di salita, vengono talmente alterati dall'alta temperatura e dalla forte pressione da subire, in fase solida (cioè senza fondere) un processo di metamorfismo, caratterizzato dalla comparsa di nuovi minerali, che non erano presenti nella roccia originaria: si formano così le serpentiniti (il serpentino è un minerale che si forma per alterazione profonda dell'olivina). Tutte queste "pietre verdi", cosiddette per il loro caratteristico colore, e cioè peridotiti, gabbri, basalti, nonché le serpentiniti, prendono il nome generico di "ofioliti". Ma accanto a queste rocce basiche o addirittura ultrabasiche cioè prive di silice, qua e là si incontrano nel Parmense anche alcuni, ti Blocchi granitici; il granito è, al contrario, una roccia acida (con molta silice a sua presenza accanto alle ofioliti indica la complessità dei fenomeni petrogenetici che avvennero: in alcuni casi può trattarsi di una cristallizzazione e differenziata dal medesimo magma, in altri casi invece si tratta di rocce assai antiche, come il granito di Rombecco, nell'alta Val Baganza, la cui origine risale addirittura al periodo Permiano (Paleozoico superiore) (ma anch'e naturalmente, in giacitura secondaria).
Il mare della Tetide era molto profondo, con acque più calde delle attuali acque marine, popolate, oltre che da pesci da grossi rettili marini, anche da quei cefalopodi ormai estinti, Ammoniti e Belemniti caratteristici dell'era Mesozoica.
In corrispondenza della frattura centrale (lungo la curale si formò una dorsale, a delle effusioni di magma prodotto dal mantello), dove l'acqua era ricca di silice a i di tali effusioni, prosperavano i Radiolari microorganismi planctonici a scheletro siliceco.
E' l'accumulo, sul fondo marino, dei i questi animali provocò la formazione roccia sedimentaria silicea, il diaspro ad esempio quello della roccia su cui castello di Bardi (diaspro rosso). Alla fine del periodo Giurassico, cii milioni di anni fa, il movimento relath placche si inverte, ed ora il continenti no (detto Gondwana) si avvicina a eurasiatico: la 'letide si restringe, e i si ti e le rocce magmatiche che in essa depositati vengono compressi e de rompendosi in scaglie e cunei che i ad accavallarsi. Nel frattempo, i fiumi cavano i continenti, continuano a trii a mare i detriti strappati alle montag sti detriti, depositati dapprima lungc paté continentali sottomarine, franavano poi formando delle immer di torbida (torbiditi) che andavano a ridepositarsi sul fondo delle fo; ne: si formeranno così i flysch: di Monte Cassio, di Monte Caio, di So Nel corso del periodo Cretacico inizia così il sollevamento degli ani dali della 'letide, la quale diventa perciò un mare sempre meno p dove la sedimentazione è sempre attiva e dove, nella prima metà dell’era Cenozoica, si formeranno quei depositi che daranno poi origine ai terreni "eocenici", tanto diffusi nel Parmense: flysch di Monte Sporno e flysch di Monte Dosso. Prosegue l'affastellamento di falde sovrapposte, che vengono letteralmente sradicate dai loro luoghi di origine e trasportate altrove (rocce alloctone).
Nel frattempo la catena alpina è già emersa dal mare, e su di essa, trattandosi di montagne "giovani", l'erosione meteorica è molto attiva: i detriti trasportati a mare dai fiumi alpini vanno ad alimentare ulteriormente la sedimenta/ione manna, con tor-biditi arenacee che arrivano a depositarsi nelle nuove fosse marine che si sono formate: si formerà così, per esempio, l'arenaria "macigno" del nostro crinale appenninico principale (M. Orsaro, M. Marmaglia).
L'Appennino emerge dal mare a partire dalla fine del Miocene. Ma in questo periodo avviene un fatto insolito: il Mediterraneo (ultimo lembo dell'antico mare della 'Fetide) diventa un bacino chiuso, non più collegato all'oceano, ed ini/.ia così in esso una forte evapora/ione, la quale porterà alla forma/ione delle famose "evaporiti" emiliane del Messiniano (Miocene superiore): sono i gessi della bassa Val Crostolo (es. Ve//ano, prov. di Reggio Kmilia) e dei din-torni di Salsomaggiore (gessi che non vanno confusi con ciucili dell'alta Val Secchia, assai più antichi). La "chiusura" del Mediterraneo è tuttavia transitoria: alla fine del Miocene (7milioni di anni fa) lo stretto afro-andalusiano (l'attuale stretto di Gibilterra) si apre "improvvisamente" (in senso geologico) e cessa perciò la fase evaporitica. 11 mare rioccupa i domini disseccati in precedenza (trasgressione rapida) e si formano così diversi bacini secondari del Mediterraneo tra cui il Mare Adriatico, il quale prosegue a nord, insinuandosi tra le Alpi e gli Appennini, formando il grande golfo padano. Alla base del nostro Appennino la linea costiera tocca l'attuale fascia collinare che scorre a monte delle località di Sivi//ano (Traversctolo), Lesignano, S.
Michele Catti, S. Vitale Bagan/.a, Respiccio, S. Andrea Bagni, 'Fabiano, Salsomaggiore, dove i sedimenti fossiliferi indicano già un mare alquanto profondo (la "spiaggia" doveva trovarsi a quote superiori, ma oggi non ne rimane traccia perché successivamente erosa in seguito all'ulteriore innalzamento dell'Appennino, ormai alle sue ultime fasi orogenetiche). Lungo questa linea di costa si accumulano depositi marini che ormai non subiranno più sensibili disloca/ioni (terreni autoctoni),
mentre l'intero golfo padano si va gradualmente colmando di sedimenti. A partire da 1,8 milioni di anni fa ini/.ia il grande peggioramento climatico che porterà alla forma/ione dei grandi ghiacciai alpini e di alcuni, più modesti, appenninici. Ormai l'Appennino ha raggiunto all'incirca le quote attuali, e uno dei più grandi ghiacciai dell'Appennino sarà proprio quello del Lago Santo Parmense.

Dopo l'ultima glaciazione, a partire da circa 10.000 anni fa, si completa il deposito alluvionale della pianura, ormai in ambiente continentale. Il mare, se pure con alterne vicende (trasgressioni e regressioni) si è definitivamente ritirato e la pianura acquitrinosa verrà rapidamente bonificata dall'uomo, che nel frattempo ha fatto la sua comparsa nel Parmense.

   
   
   
   
   
   
   

 
  Autore:  Angelo De Marchi
Titolo:   Guida naturalistica del Parmense
Editore: Graphital Edizioni Parma 1997
   

 
   


 

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